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Dalla pandemia ai roghi in California: il 2020 segna la fine del secolo americano?

Aggiornamento: 2 apr 2021

Di Matteo Piovacari


Nello studio delle relazioni internazionali esistono varie teorie secondo le quali lo scenario globale sia normalmente contraddistinto dalla presenza di una potenza ‘egemone’, cioè dotata di una superiorità sia economica, che di carattere politico-militare, e che sia capace di plasmare i dettami dell’ordine internazionale secondo i propri interessi nazionali. Ci sono pochi dubbi sul fatto che soprattutto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma iniziando già dagli arbori della Grande Guerra, gli Stati Uniti abbiano ricoperto questo ruolo, rendendosi protagonisti e leader spirituali in molti degli ambiti chiave dello scacchiere mondiale, in Occidente e non.

Tuttavia, sin dagli inizi del nuovo millennio la tenuta della leadership americana ha iniziato a vacillare, dimostrando un’allarmante incapacità di adattarsi alle sfide poste dal nuovo scenario mondiale in piena globalizzazione. Un esempio lampante di ciò sono stati i fallimenti (perché si, di fallimenti si deve parlare) non solo militari, ma soprattutto politici, in paesi come l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia. In particolar modo negli ultimi anni poi, gli Stati Uniti hanno sofferto sul piano delle relazioni intessute con il resto del mondo, e quindi del loro ruolo egemonico, l’isolazionismo isterico e le scarse doti diplomatiche dell’amministrazione Trump. I fallimenti negoziali con la Corea del Nord e l’Iran, ad oggi più che mai mine vaganti all’interno del sistema internazionale, sono solo i casi più eclatanti dell’inadeguatezza dei funzionari americani nel gestire e ‘controllare’ potenze possibilmente destabilizzatrici del complesso di sicurezza internazionale. Per non parlare poi della ritirata americana dagli accordi di Parigi sul clima, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’allontanamento progressivo dai propri partner strategici storici in Occidente, vedi la questione dei fondi alla Nato come esempio di un progressivo sfaldamento nelle relazioni euro-americane. L’America sotto Trump si è progressivamente isolata, tendendo ad abbandonare quella posizione privilegiata che si era costruita sulla scia dell’eccezionalissimo americano durante quasi tutto il 20esimo secolo.

Il 2020 potrebbe ora segnare in modo emblematico l’apice della crisi egemonica americana. Una crisi propriamente esistenziale, quella degli Stati Uniti, che da auto-proclamata culla delle libertà e faro dei valori democratici e liberali, vedono il proprio tessuto sociale lacerato da profonde spaccature e instabilità violenta. Il movimento Black Lives Matter, animatosi dopo l’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte delle forze dell’ordine di Minneapolis, ha ancora una volta (dopo le lotte per i diritti civili del secondo 900’) messo in luce il sistema di discriminazione strutturale su base razziale su cui si fonda la società americana. Inutile dire quanto questa profonda divisione sociale, e mancanza di reattività da parte delle autorità politiche nel gestire la crisi, leda indissolubilmente l’immagine che gli Stati Uniti proiettano nel mondo (il cosiddetto soft power), che tutt’altro si addice all’autoproclamatosi leader del mondo libero e difensore dei diritti umani.

A questo quadro, in cui l’egemonia sia politica, che culturale, degli Stati Uniti si trova profondamente indebolita e ridimensionata, si deve aggiungere la gestione fallimentare della crisi epidemica, ultima e pesante macchia di un maldestro quadriennio di amministrazione repubblicana. Ad oggi, gli Stati Uniti figurano fra i paesi più colpiti dal virus, contando circa 220000 morti totali per Covid-19 e registrando un quarto dei casi mondiali, al netto di una popolazione che copre il 4% di quella globale. Non bene, anzi malissimo, per una nazione che disporrebbe di immense risorse umane ed economiche per fronteggiare la crisi, ma il cui presidente ha più volte sminuito e deriso la pericolosità del virus nei primi mesi di emergenza globale, trasformando la crisi in una tragedia sanitaria per gli americani. Una chiara mancanza di leadership, quella della presidenza Trump, che ulteriormente sfibra il ruolo internazionale degli Stati Uniti e la loro autorità a livello sopranazionale.

Come guida la teoria, e la storia insegna, mentre un’egemonia scricchiola e cerca di mantenersi a galla, un’altra prova ad emergere. Mentre gli Sati Uniti annaspano fra i tentativi lacunosi di arginare il virus, le sommosse popolari legate al movimento BLM, e una recessione di portata simile a quella del 2008, la Cina di Xi Jinping si affaccia alle porte dell’ordine egemonico mondiale. Il colosso cinese ha portato alla ribalta un modello efficace di contenimento del virus, mentre la propria economia presenta quasi l’unico caso di espansione annua prevista fra i paesi che contano. Questi dati, congiunti al logoramento dell’autorità americana nella sfera globale, giocano a favore della ‘grande strategia’ a medio-lungo termine di Pechino, manifestata nell’ultimo decennio attraverso la Belt and Road Initiative. Che il 2020 possa aprire le porte al secolo cinese?

I roghi che in questi mesi hanno devastato immense aree della California simboleggiano profeticamente lo stato di crisi in cui gli Stati Uniti vertono da qualche anno a questa parte, e che è stato notevolmente peggiorato dall’avvento della pandemia. La casa americana è in fiamme, e solo un cambio di rotta netto a livello di leadership, che porti con sé una rivalutazione e rinnovo del ruolo globale giocato dagli Stati Uniti, così come internamente dalla sua amministrazione, può sperare di domarne le vampate.

Due elementi saranno senza dubbio determinanti nel condannare, o riconsacrare, l’egemonia USA nei prossimi anni: il risultato delle presidenziali da una parte, con un’eventuale amministrazione a guida democratica che sembra propensa a ricollocare positivamente l’America nello scacchiere globale, nonché ad affrontare le questioni interne come il razzismo strutturale. La corsa al vaccino, invece, dall’altra, ma solo se gli Stati Uniti riusciranno a svilupparlo per primi, proseguendo con una distribuzione indiscriminata a livello mondiale, senza condizionali per i paesi che lo vorranno ricevere. Che questo basti ad arginare il declino americano, difficile a dirsi. Ciò che rimane certo è che la prossima presidenza dovrà essere capace di gestire una situazione turbolenta sotto molti punti di vista, al fine di invertire la traiettoria decadente dell’egemonia americana ed evitare che il 2020 venga ricordato nei libri di storia come l’anno che ha formalmente sancito la fine del secolo americano.

Fonti & Approfondimenti:

· Perché gli Stati Uniti hanno fallito con il Coronavirus: https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2020/09/coronavirus-american-failure/614191/

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