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Frente Amplio

Di Mauro Spina


Frente Amplio è la denominazione che hanno assunto, o assumono le forze progressiste in America Latina, le quali, dove possibile si presentano sempre unite per vincere una destra che, come blocco monolitico, non presenta elementi discordi al proprio interno. Il frente più eterogeneo si trova però oltre il canale di Panama, ed è rappresentato dal rassicurante colore azzurro ed è ora guidato da Joe Biden, 46° presidente degli Stati Uniti d’America.

La volontà delle forze ex socialiste e comuniste, progressiste fino alle ali più liberali delle componenti di centro-sinistra hanno spesso manifestato la volontà di creare un’unità ricercata non solo nella breve tornata elettorale ma anche in un progetto di vita capace di resistere alle intemperie della politica che potesse rappresentare un baluardo ideologico per progressisti e democratico sociali. La possibilità di tenere assieme l’impegno pauperistico di forze dal chiaro passato comunista, con scelte economiche che non trascurassero il liberismo economico e infine, dal punto di vista elettorale, la possibilità di non perdere l’elettorato cattolico.

Tutte queste componenti oltreoceano, in Italia, si sono condensate in un partito nato il 14 ottobre 2007, il Partito Democratico. L’obiettivo di costituire un corpo flessibile, capace di affrontare in un duopolio politico le destre, con un chiaro rimando ai partners statunitensi e una politica filo-atlantista, hanno collocato fin dall’inizio il PD in un alveo storico già percorso.

Nelle tornate elettorali nazionali del 2013 e del 2018, il partito colpito da numerose fratture al proprio interno, è riuscito ad assestarsi al 31% nel 2013 e al 22% nelle elezioni successive. Di mezzo il grande exploit delle europee del 2014 con il 40% raggiunto dal Partito Democratico guidato dall’allora premier e segretario Matteo Renzi (oggi leader del partito centrista Italia Viva). La vita ideologica del PD è sempre stata travagliata, tra l’emersione ciclica di vere e proprie figure di capi-corrente sempre pronti a detronizzare il segretario di turno, e l’ascesa imperiosa del Movimento 5 Stelle che dal un lato ha raccolto gli elettori delusi dall’esperimento trasversale del Nazareno e dall’altra una larga fetta della popolazione colpita dalla crisi e stanca della vecchia politica tout court.


Facendo un rapido bilancio, è evidente notare come le lotte intestine tra le varie correnti del Partito Democratico, spesso portate avanti all’interno del palazzo abbiano da un lato paralizzato le scelte ideologiche e valoriali del partito stesso, indebolito la figura del segretario (sempre più arbitro e meno guida), e infine, dato più importante, hanno portato una sempre più alta indifferenza elettorale verso questo esperimento.

Tutto questo non ha ingrossato le fila dei vari partiti di sinistra radicale (tra questi solo Liberi e Uguali è riuscito ad ottenere percentuali che le permettessero di entrare in Parlamento) tant’è che spesso la vasta costellazione di partiti e movimenti viene indicata dalla stampa come a sinistra del PD e spesso non di rado le componenti di queste composizioni politiche ritornano nel campo ampio del Nazareno.

Occorre quindi domandarsi dopo l’investitura avvenuta il 14 marzo 2021 del nuovo segretario Enrico Letta (già vice-segretario del partito dal novembre 2009 all’aprile 2013) se l’obiettivo di tenere aree politiche diverse in un’unica struttura politica sia ancora un obiettivo attuale e attualizzabile.

La componente liberal interna al PD è vicina ai partiti centristi (non a caso sono definiti renziani), ed esclude nettamente l’avvicinamento all’alleanza definita organica col Movimento 5 Stelle, nel tempo riconvertitosi a partito strictu sensu e proposta a più riprese dall’on. Pierluigi Bersani (segretario dal 2009 al 2013 e oggi in Articolo Uno, componente principale della coalizione Liberi e Uguali) rilanciata dall’ex Nicola Zingaretti e ora sul tavolo delle trattative del nuovo segretario.

Enrico Letta ha il ruolo di ago della bilancia (di nuovo), ed è opportuno chiedersi quanto sia utile una nuova segreteria che abbia come obiettivo primario quella di tenere legate assieme le parti e quanto di quel portato di valori di sinistra venga inesorabilmente sacrificato all’altare della realpolitik. Il nuovo segretario è accorto, oculato nel pesare le sue parole ma rende plasticamente l’idea del gigante PD, paralizzato in una cristalliera di micro-correnti, attento a non romperne nessuna ma allo stesso tempo di tenerle tutte vicine nell’impegno elettorale.

E molti di quegli obiettivi primari sono stati trascurati o sono scomparsi dalla dialettica della segreteria. Prima del ritorno di Letta lo ius soli era svanito dagli obiettivi primari, tutti e tre i candidati alla segreteria del 2019 (Nicola Zingaretti, Maurizio Martina, Roberto Giachetti) avevano espunto la patrimoniale dalla loro prospettiva di politica economica e sia dalla leadership quanto dai vari esponenti chiave del partito tra gli anni 2018-2021 si è praticamente smesso di sferzare i temi di inclusione sociale (la misura chiave del Reddito di cittadinanza con tutti i pro e i contro è stato il perno politico del Movimento), di abbattimento del gender gap, la protezione dei lavoratori, green economy, sviluppo digitale e tanti altri temi politici consegnati nel corso del tempo o alla sinistra altra o caduti nelle mani della propaganda di destra (che negli anni ha accresciuto di molto i suoi consensi).

E’ auspicabile quindi un ripensamento profondo del progetto di un grande partito progressista che tenga assieme tutte le aree politicamente affini al centro-sinistra. Nel corso del tempo la scelta unitaria ha portato risultati elettorali di peso ma ha affaticato il percorso ideologico e ha eroso la figura del segretario. Oggi il PD appare stanco, con un tentativo di rilancio ‘’dall’alto’’ con un nuovo segretario di transizione e con le tornate elettorali di quasi tutti i principali comuni italiani alle porte. L’obiettivo di Enrico Letta è arduo: vincere con una nuova alleanza strutturale (sfruttando i doppi turni nelle elezioni comunali) con il Movimento 5 Stelle, tenere assieme le parti rilanciando i temi ideologici fondamentali del Partito Democratico e spiegare ai propri elettori come sia stato possibile passare dalla lotta senza quartiere alla Lega di Matteo Salvini alle esternazioni fatte da alcuni elementi chiave del partito proprio nei confronti del principale antagonista politico e leader del primo partito sovranista del paese, nelle ultime settimane.

La soluzione potrebbe trovarsi in una nuova struttura che leghi a sé le componenti progressiste e la vasta area di partiti lontani dalla struttura centrista che il PD ha assunto negli ultimi anni. Un nuovo volto che potrebbe rilanciare la sinistra italiana, recuperando l’elettorato perso e che metta fine a quella continua trattativa interna al Nazareno tra capi-corrente e valori ideologici differenti o spesso asimmetrici anche all’interno dello stesso partito che ha contrassegnato le ultime fratture.

Enrico Letta può rappresentare la continuità, il ritorno dopo la ciclica crisi alla moderazione oppure una nuova fase per il Partito Democratico, più affine alla volontà di essere un frente (fronte) contro le destre e meno incline all’essere solamente amplio scelta che nel tempo ne ha logorato l’essenza costitutiva.


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