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L’Italia green non è un’opzione

Di Mauro Spina


Il movimento globale del Fridays for Future nato il 20 agosto 2018 dalla volontà dell’attivista svedese Greta Thumberg ha mobilitato dal basso milioni di studenti e larga parte della società civile in tutto il mondo. L’Italia ha risposto positivamente all’appello con presidi in oltre cento tra le maggiori città della penisola. Al netto dell’entusiasmo il primo banco di prova della politica italiana rivolta ai temi della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente è stato fallimentare. Nessuno dei 74 deputati al Parlamento Europeo del Gruppo dei Verdi è stato eletto nella tornata elettorale corrente. Nonostante gli impegni sottoscritti in sede europea circa le riduzioni di emissioni inquinanti e le manifestazioni di interesse registrate da parte della politica italiana, sembra che a contrastare il surriscaldamento globale, l’inquinamento atmosferico, idrico e terrestre siano concretamente studenti e attivisti del Fridays for Future e di Extinction Rebellion (associazione che appoggiando le analisi dei massimi esperti in maniera climatica chiede ai governi di ridurre le emissioni di carbonio allo zero netto entro il 2025; data scientificamente più incisiva e impattante del 2050 individuato dai governi europei).


La discrepanza che separa le piazze dai vertici istituzionali si può spiegare osservando i dati forniti dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in merito all’export italiano nel mondo e alla tipologia di prodotti esportati. La costanza nel sottolineare gli impegni presi viene smentita dai dati: la proiezione del triennio 2016-2019 riguardante l’esportazione di materie plastiche è in aumento costante in tutti i continenti. Altrettanto interessante è notare come l’Italia sia l’8° fornitore di Prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio dell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) per un giro di affari di 672 milioni di euro. Allo stesso tempo Roma importa dalla suddetta area il 59,4% delle esportazioni totali di petrolio grezzo, il 13,2% di Prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio e il 5,4% di Prodotti chimici di base, fertilizzanti e composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica in forme primarie per un giro di affari attorno ai 4 miliardi di euro nel periodo gennaio-marzo 2020. Sempre nello stesso periodo l’Italia importa dal Brasile il 53,8% (tra prodotti agricoli, legno e prodotti in legno e infine prodotti dell’estrazione di minerali da cave e miniere) per un volume complessivo di 654 milioni di euro. La scelta di prendere ad esempio il Brasile non è casuale, il governo Bolsonaro ha negato più volte gli impegni per fermare il cambiamento climatico, senza considerare l’immane disastro ambientale in Amazzonia dove gli incendi hanno devastato gran parte di quello che è considerato il polmone verde della Terra per far posto a terreni edificabili e attività commerciali; in tutto questo il governo di Brasilia sembra responsabile.

I paesi del Medio Oriente sono fortemente debitori nei confronti del petrolio (che per alcuni di essi rappresenta l’unica risorsa di potere economico e politico). Gli impegni volti a salvaguardare l’ambiente debbono passare dalla revisione dei trattati commerciali con i governi che negano i cambiamenti climatici.


Infine va considerato anche il risvolto politico di tali scelte. Se in sede comunitaria si cerca di mettere pressione ai governi del blocco di Visegrad (in particolare alla Polonia, maggiore produttore di carbone in Europa) restio alle risoluzioni riguardanti le tematiche ambientali, resta di difficile comprensione la scelta italiana di stringere partenariati economici con nazioni che seguono la falsariga di Varsavia. L’obiettivo primario che le nazioni europee (e l’Italia nello specifico) debbono raggiungere è l’autosufficienza energetica. La Danimarca è una delle esperienze positive nel panorama continentale, avendo raggiunto il 40% di autosufficienza energetica. Le risorse rinnovabili e l’investimento su queste ultime aumenta la forza contrattuale nei banchi internazionali di diplomazia, sia che essi contribuiscano a raggiungere un accordo per la riduzione delle emissioni, sia per sugellare un accordo di pace.

In quest’ultimo caso l’estrema debolezza causata dalla dipendenza da nazioni che sfruttano combustibili fossili diventa strutturale nel momento in cui è necessario prendere decisioni che esulino dalle tematiche sull’inquinamento globale. L’ultimo esempio tangibile è quanto accaduto in Nagorno-Karabakh. Le relazioni tra Roma e l’Azerbaigian riguardanti il commercio di gas naturale squalificano qualsiasi azione rivolta ad una eventuale presa di posizione diretta.

Per poter contare ai tavoli mondiali, sulle tematiche ambientali occorrono maggiore interesse e volontà di azione nelle sedi europee, svincolandosi dagli stati che non hanno alcun interesse per il miglioramento delle condizioni globali. Una maggiore indipendenza attraverso le risorse eco-sostenibili permetterebbe di superare la fase di stallo in cui l’Italia si trova. Una fase di stagnazione dimostrata anche dallo scarso interesse e dalla poca forza istituzionale rappresentata dai partiti verdi, che altrove in Europa hanno rappresentato la vera novità elettorale delle ultime elezioni europee in numerosi contesti nazionali.


La risposta al cambiamento climatico non è più solo un fattore etico, è divenuta preponderante per le agende politiche internazionali. Le operazioni di chiusura/apertura nei confronti dell’ambiente sono entrate di peso nel panorama politico e acquisiranno sempre più volume con la progressiva erosione del welfare state dovuta ai danni causati dai disastri ambientali (che l’Italia registra in maniera cronica). L’Italia green non è più un’opzione. La svolta verde è il futuro da intraprendere nelle sedi istituzionali europee. Il consumo di risorse, i finanziamenti ad economie aggressive e impattanti solcherà sempre di più il divario tra la stragrande maggioranza del pianeta esclusa dai benefit dell’economia e una minoranza sempre più ricca e individualista.

L’Europa e l’Italia, che ne è un paese fondatore, non può perdere questa sfida mondiale, sia in ottemperanza alla volontà di creare un futuro migliore quanto per rendere onore a quel Nobel per la pace assegnato alle istituzioni europee nel 2012.



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