Di Mauro Spina
Potrebbe essere il titolo di un film perfetto che si svolge diviso in due atti, il primo tra le rovine romane della Città Eterna, con prelati incappucciati che consegnano note diplomatiche in gran segreto e il secondo, che si svolge sul freddo Danubio e si riverbera nei palazzi del potere di Bruxelles, dove, Viktor Orban il padre padrone dell’Ungheria continua imperterrito la sua crociata anti-LGBTQI+.
In Italia il DDL Zan continua a far discutere, con una folta rappresentanza pronta a trovare ogni cavillo logico e burocratico per impedire che finisca per essere votato in Senato. Guardando al passato dei diritti delle minoranze, alle leggi promosse per auspicare un integrazione che almeno in teoria la Costituzione garantisce, i passi compiuti nel XX secolo sono stati lenti e tardivi. Non stupisce quindi che una nutrita massa di esperti dei diritti dei bambini e delle famiglie si sollevi contro il pericolo di una deriva arcobaleno, soprattutto il Vaticano, che perderebbe la possibilità di veicolare i suoi messaggi di eteronormatività tossica e di mortificazione della donna, su cui ha incardinato il peso politico-sociale enorme che ha rivestito in questo stato, sì laico, come ha ricordato Draghi (e ci mancherebbe), ma sempre pronto a strizzare l’occhio al monarca assoluto assiso a San Pietro.
Non si potrà dire più che gli omosessuali, i trans e chiunque abbia un genere che non collima con le sacre scritture, faccia parte della cricca del demonio, avallando in maniera indiretta aggressioni, pestaggi ed anche, come testimonia il recente passato, una triste serie di omicidi ai danni della comunità LGBTQI+.
Mentre in questa pantomima turpe per non perdere un diritto che in uno stato laico come l’Italia, il Vaticano non dovrebbe avere, i principali oppositori politici del DDL Zan appoggiano la linea ungherese nei confronti delle minoranze oppresse. Sembra incredibile pensare che un politico come Viktor Orban, privo del benché minimo scrupolo a cancellare ogni accenno democratico dalla costituzione del suo paese, sia diventato il beniamino e la figura trainante dell’odio verso la comunità LGBTQI+. Il premier ungherese è riuscito nell’intento agognato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, come da qualsiasi leader politico di estrema destra: federare restaurazione e saio, unire le prediche domenicali alle botte nei vicoli bui contro giornalisti e oppositori. Ed è per questo che in Italia non ci sono che poche mosche bianche nell’apparato di centro-destra che hanno aperto al voto favorevole in Senato riguardo il tanto discusso decreto legge. Inimicarsi le frange più oscurantiste della Chiesa cattolica non conviene in termini elettorali. Con buona pace delle minoranze. La scelta è compiuta, ai diritti si preferiscono gli interessi.
Mentre a Bruxelles ci si sveglia dal torpore dopo l’ultima legge ungherese che di fatto avvicina pericolosamente l’omosessualità alla pedofilia, ad una malattia che deve essere eliminata dalla terra cattolicissima d’Ungheria. Un risveglio comico, sono anni che Budapest calpesta diritti e doveri dell’Unione, seguita fedelmente dalla Polonia. Due stati che hanno compreso bene come sia possibile governare ‘’alla’’ Lukashenko in Bielorussia restando però nelle rispettive sedi europee magari profittando senza alcun rimorso dei fondi comunitari senza i quali, la Polonia ad esempio, sarebbe ancora uno stato fermo agli anni ’50 del secolo scorso. Due stati dove, i rispettivi premier, non hanno mai nascosto le loro mire espansionistiche, la volontà di imbavagliare giornalisti e magistratura (intervento riuscito completamente in Ungheria). Ed è questo il modello inseguito dalla Lega e da Fratelli d’Italia.
Così davanti a questi richiami novecenteschi, si sveglia in gran ritardo l’Unione, facendo blocco scrivono i giornali (in realtà solo 15 stati) contro Orban, nel frattempo fuori anche dal Partito Popolare Europeo e in cerca di nuove amicizie.
In questo quadro desolante, la monarchia assoluta della Chiesa, che dovrebbe occuparsi degli oppressi dalle leggi orbaniane pensa a tutte le sue piccole fortune, al retroterra stantio e ideologicamente finito che ha ancora tanta presa in Italia e si ancora ad esso per paura di perderlo. Mentre fuori, nel mondo, si è liberi di discriminare e aggredire fisicamente di chi esce fuori dai vincoli eteronormativi e in Europa tornano i richiami ai periodi più bui della storia mondiale del secolo scorso, la Chiesa è curva sul suo pallottoliere, cercando di non perdere nemmeno una moneta.
Sullo sfondo la UEFA che terrorizzata dall’Allianz Arena colorata coi colori dell’arcobaleno ne ha chiesto l’immediata rimozione per non offendere i tifosi ungheresi con un gesto politico, mentre ha sorvolato sulle braccia tese e i gli insulti di stampo omofobo di quest’ultimi. Sembra di assistere da un tafferuglio di piazza, dove ognuno pur di salvare la pelle, calpesta a morte chi è caduto o nel caos generale rubacchia qua e là per arrotondare le proprie finanze.
A farne le spese però non è una massa indistinta ma la comunità LGBTQI+, sacrificata all’altare (letteralmente) dalle forze ottenebrate di questo nuovo millennio. Nel frattempo l’iter del decreto legge Zan prosegue e se per un accidente della storia, dovesse passare, vedremo più arcobaleni e meno crocefissi.
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