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Regionali 2020, analisi dei risultati della tornata elettorale

Di Mauro Spina


La sconfitta (sentita) della destra italiana è manifestata dall'esultanza del leader della Lega diretta alla vittoria nelle Marche; regione la quale se si eccettua l'attentato di Traini, l'omicidio di Pamela Mastropietro e il sisma, non è paragonabile del peso politico alle grandi Emilia Romagna e Toscana, i cosiddetti "feudi rossi" (e già così potrebbe suscitare qualche risata). Eppure la destra la "strappa" ed esulta, trascurando la vittoria plebiscitaria di Zaia, un ritrovato player all'interno delle logiche nazionaliste della Lega egemonizzate da Matteo Salvini negli ultimi anni (anche se il leader indiscusso della politica veneta ha già smentito tutte le voci).


Il Centro moderato e il PD vincono anche se, soprattutto in Toscana, l'esponente della destra si è attestata ad un pur importante 40%. Le regionali premiano i metodi social da pater familias di De Luca e l'imponente potenza di fuoco delle liste civiche di Emiliano. Nel complesso, nonostante la partita sia stata chiusa con una tenuta che salda il governo, il Partito Democratico dovrà fare fronte alle frizioni interne derivanti dalla indecisione sul referendum, e dalle scarse motivazioni addotte a supporto dello stesso. Un importante mea culpa dovrà essere effettuato nell'analisi della sconfitta soprattutto per quanto riguarda il caso marchigiano dove il trattamento farsesco riservato ai terremotati ha pagato.


Il Movimento 5 Stelle fa quadrato attorno alla vittoria definita "storica" del referendum, lasciando ogni analisi della sconfitta subita, soprattutto in Puglia, al silenzio. Non è una novità, per due motivi: il primo è tutto politico, il Movimento ha sempre avuto difficoltà a raggiungere cifre importanti nelle regionali (Puglia esclusa, per questo a ragione dovrebbe rappresentare un punto all'ordine del giorno dell'agenda di Crimi), il secondo di metodo, da quando esiste il Movimento ha avuto un rapporto molto passivo nei confronti delle sconfitte, tendendo sempre a guardare il bicchiere mezzo pieno per compattare le fila. Nel complesso, urge una riflessione interna per riabilitarsi su scala nazionale.


La prima tornata di elezioni mette definitamente il sigillo sull'esperienza politica di Matteo Renzi, il quale non riesce a rappresentare il terzo polo moderato col suo Italia Viva. Cocenti sono le sconfitte in Puglia, dove Ivan Scalfarotto non sposta nessun equilibrio a livello politico nel centro sinistra (e ricordiamo, la sua candidatura era volta a "bocciare" nelle urne quella del governatore uscente) e in Toscana, roccaforte dell'ex premier del Pd che boccia il suo prodotto ibrido con un risicato 4%.


In sintesi, al di là delle cifre e dei risultati finali, anche questo voto è stato un voto "argine". L'obiettivo era arginare lo spauracchio delle destre e questo ha portato ad una perdita di ossatura politica nei confronti di alcune liste civiche, candidamente inserite nell'agone politico delle regionali e che con molta semplicità si possono definire trasversali. Quale sarà il prezzo di questa trasversalità e di questa visione sul brevissimo periodo lo diranno le prossime tornate elettorali e soprattutto il tasso di partecipazione al voto e la percezione dell'importanza dello stesso. È infatti un trend generalizzato da anni, che vede la diminuzione della partecipazione e conseguentemente un aumento delle alleanze "utili". Un atteggiamento che paga solo per qualche mese ma sul lungo periodo viene colmato dalla ferocia delle forze più conservatrici.


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