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Regnare sul caos

Di Mauro Spina


Il 29 febbraio 2020 a Doha (capitale dello stato del Qatar) furono siglati i trattati di pace e le clausole sul ritiro delle truppe della coalizione dall’Afghanistan tra i Talebani e gli Stati Uniti d’America. Festeggiato da Trump come un risultato storico, già allora senza avere sotto gli occhi l’evolversi disastroso della situazione sociale e politica afghana, quel trattato sembrò incauto.

Come può uno stato sovrano, e su che basi, trattare con un gruppo armato che fino a pochi istanti prima considerava come gruppo terroristico? E su quali margini di sicurezza ha basato l’amministrazione Trump, la fiducia e il rispetto dei trattati da parte del gruppo dei Talebani?

Tante domande che sono ricadute sul successore democratico, Joe Biden che ha provato a districarsi dal pantano politico, quasi negando la presenza degli Stati Uniti d’America in questi venti anni di presenza in Afghanistan. Il nostro obiettivo non era creare un paese democratico. Peccato però che fosse proprio questo l’obiettivo dell’amministrazione Bush jn. e dei repubblicani più oltranzisti.

Donald Trump è sempre stato durante la sua amministrazione una sorta di wild card, vista la rapidità con cui ha sconfessato la linea più dura del suo partito alleandosi coi nemici storici, quelli su cui gli Stati Uniti hanno costruito una retorica ventennale seguiti senza troppi indugi dagli alleati di sempre (agli inizi dell’invasione soprattutto da Spagna e Italia).

Oggi in Afghanistan la situazione è critica su molteplici livelli. I Talebani incoraggiati dalla scelta folle di un presidente americano di dargli credito internazionale, possono presentarsi come i vincitori della guerra, e fare buon viso a cattivo gioco mentre da una parte promettono inclusione e dall’altra sparano a man salva oppositori e costringono ai domiciliari e senza scorta armata i loro principali avversari politici con cui dovrebbero (a detta loro per mezzo stampa) dialogare.

L’Isis è stato riabilitato nella zona ed è tornato a farsi sentire con un attentato che ha ucciso decine di civili e una decina di marines statunitensi. Un durissimo colpo per l’establishment democratico e che fa temere il peggio per le elezioni di metà mandato.

Joe Biden si è limitato a ratificare un trattato stipulato prima di lui e ha dato seguito al ritiro totale delle truppe americane entro il 31 agosto 2021, di fatto aprendo la strada ai Talebani e indebolendo mortalmente il governo di Ashraf Ghani (non esente da responsabilità).

Molti analisti considerano sconfitto un modello di interpretazione della geopolitica fabbricato ed esportato dall’alleanza nord-atlantica e non si può non essere d’accordo con questa visione. Esportare democrazia invadendo uno stato, combattendo un gruppo armato fondamentalista che si era in precedenza armato contro un altro nemico, non rientrare proprio nella fisionomia di chi agisce per un interesse di pace. L’Occidente paga il suo debito con le scelte miopi etnocentriche e eurocentriche che hanno portato dal 1990 in poi a continui smacchi nella maggior parte degli scenari conflittuali mondiali.

Ignoranza, questa è stata la madre del trattato di Doha, assieme al disinteresse per la sorte di milioni di civili afghani. Ignoranza, disinteresse e facile guadagno è quello che ha spinto le autorità europee del calcio a permettere un mondiale in Qatar che conta ormai migliaia di lavoratori morti. E si potrebbe continuare con una lista di esempi numerosi dove in contesti asiatici, africani o medio-orientali l’alleanza nord-atlantica, la Nato e altre autorità occidentali hanno miseramente fallito.

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