Di Alessandro Preti
Le milizie fedeli al feldmaresciallo Khalifa Haftar, dopo il blocco petrolifero di gennaio, sono state nuovamente accusate dal governo del Primo Ministro Fayez al-Sarraj, di aver tagliato le forniture idriche della città di Tripoli. Un gruppo armato, nella giornata dell'8 aprile, ha preso d’assalto le strutture che controllano il flusso dell’acquedotto, costruito da Muammar Geddhafi, e ne ha fatto chiudere le valvole di controllo, lasciando senz’acqua circa tre milioni di persone. Il ministro degli interni Fathi Bishaga, che ha già qualificato in passato il generale come un “bandito”, ha definito l’atto un gravissimo crimine di guerra.
Il ministro ha inviato nel Paese le istituzioni internazionali e le organizzazioni per i diritti umani al fine di documentare la grave situazione derivata dall'assenza di acqua nella capitale ed imputare ai colpevoli le violazioni del diritto internazionale umanitario. La Libia, oltretutto, si ritrova ad affrontare la Pandemia globale con continui raid aerei, uno dei quali ha colpito la struttura ospedaliera adibita a fronteggiare l'emergenza coronavirus di Al Kadra. Il dialogo politico, ormai, sembra non esser un'opzione percorribile e con Tripoli senz’acqua, sull'orlo di una crisi umanitaria, il governo può solo rispondere con lo scontro militare.
In attesa che la “comunità internazionale” invocata da Bishaga batta un colpo, viene da chiedersi se, considerati gli eventi e le azioni, Haftar possa essere considerato un alleato sensato per lo Stato italiano, il quale deve difendere i propri interessi in Libia, protagonista di silenzi e ambiguità dallo scorso aprile nei confronti del governo di Tripoli, che ne hanno logorato i rapporti.
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