Di Alessandro Preti
Il conflitto tra Stati Uniti e Cina, con l’avvento del coronavirus, si è intensificato e le prossime decisioni potrebbero modificare definitivamente l’assetto esistente. Il Presidente Donald Trump ha dichiarato, il 14 maggio, durante un’intervista all’emittente americana Fox Business, che potrebbe “interrompere l’intera relazione” con la Cina, parole precise che rafforzano ulteriormente l’atteggiamento anticinese, preannunciando una possibile rottura delle relazioni diplomatiche tra le due potenze.
Il ministro degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha risposto durante una conferenza stampa alle affermazioni di Trump sottolineando che: "Mantenere il costante sviluppo delle relazioni tra Cina e Usa è nell'interesse fondamentale della popolazione di entrambi i Paesi ed è favorevole alla pace e alla stabilità nel mondo", ma per continuare a fare ciò "è necessario che gli Stati Uniti si incontrino a metà strada con la Cina". Gli Stati Uniti, però, non sembrano intenzionati a cambiare strategia, ma piuttosto stanno consolidando la propria posizione. Washington si sta muovendo su diversi fronti, trovando un sostegno bipartisan, per indebolire la Cina ed esserne sempre meno dipendente. È ormai deciso l’embargo finanziario per gli investimenti in aziende cinesi per quanto riguarda il Thrift savings plan (Tsp), ossia la cassa di risparmio dei dipendenti federali in pensione e militari in congedo, evitando così che gli investimenti portino “miliardi di dollari di risparmi pensionistici verso aziende che costituiscono una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, come ha spiegato il segretario del lavoro Eugene Scalia.
La sfida tra Washington e Pechino si palesa sul piano commerciale ed è un’ottima strategia per incidere sul vero obiettivo, l’issue area più importante per il presente e il futuro, vale a dire il settore tecnologico. Le esportazioni di smartphone Huawei sono calate del 35%, grazie all’embargo di Trump il software Android non può più essere installato sui cellulari del marchio cinese. Inoltre, sono state bloccate a Huawei le forniture globali di microprocessori, che possiedono al proprio interno tecnologia americana. Poco dopo questa decisione è stato chiuso un accordo tra Usa e Taiwan Semiconductor Manufacturing, ossia il primo produttore al mondo di chip, che aprirà una fabbrica in Arizona, questo movimento strategico non solo riequilibra la produzione di chip tra Stati Uniti e Cina, ma va ad interferire con l’idea di un’unica Cina fornendo implicitamente una posizione sullo status politico ed economico di Taiwan. Il Dipartimento di Giustizia statunitense si è scagliato contro il programma cinese Thousand Talents, il cui obiettivo è quello di creare rapporti con scienziati occidentali finanziando università e centri di ricerca, la paura è l’intromissione del governo di Pechino, già due sino-americani, uno della NASA e uno della Emory University, sono finiti sotto processo per i legami non dichiarati con la Cina. I timori e le attenzioni ora sono posti sullo spionaggio cinese, denunciato da Fbi e Homeland Security, per quanto concerne la ricerca di un vaccino efficace contro il Covid-19, dato che alcune case farmaceutiche statunitensi come la Pfizer sono già in fase avanzata. Tom Cotton, senatore dell’Arkansas e membro delle commissioni di Difesa, Intelligence e Finanza, ha presentato un disegno di legge chiamato Forging Operational Resistance to Chinese Expansion (FORCE). Cotton sul tema possiede grande considerazione da parte di Trump e del segretario di Stato Mike Pompeo, le proposte del piano FORCE sono: irrobustire la capacità militare propria e degli alleati (tra cui Taiwan) che circondano la Cina, sostenere le industrie strategiche e rilocalizzare le produzioni sul suolo americano. Tutte queste azioni danno ragione a Trump quando dice che l’era della globalizzazione è finita, ma non tanto (come sostiene) per la pandemia o per fattori esterni, ma per una scelta strategica precisa e mirata da parte degli Stati Uniti, chiamata politica di potenza.
Gli Usa stanno agendo su diversi fronti, ma soprattutto stanno cercando di inglobare nella loro strategia gli alleati facendo leva sugli interessi comuni. Pompeo, non è stata casuale la sua visita di qualche giorno fa a Gerusalemme, ha convinto Israele a bloccare e riesaminare la partecipazione ad un appalto di un’azienda cinese per la costruzione di un impianto di desalinizzazione. Oltre a questo Trump preme perché Taiwan partecipi ad una conferenza dell’Organizzazione mondiale della sanità che si terrà a maggio, questo, come il caso Taiwan Semiconductor Manufacturing, rompe l’implicito accordo di non interferenza per quanto riguarda il complesso tema dell’isola “ribelle”, intesa presente dal periodo della distensione di Nixon e Mao nel 1972. Gli Usa nel 2020 hanno incrementato la presenza e le operazioni militari nelle acque più vicine alla Cina, accrescendo il rischio e la possibilità di conflitto. Il problema sono le zone incerte, frontiere marittime contestate, isole contese, che Pechino rivendica e intende sottrarre ai paesi alleati degli americani, come Giappone e Filippine, per espandere il proprio controllo e liberarsi dall’accerchiamento. Gli aerei militari americani hanno compiuto 39 voli sul Mar Cinese Meridionale, sul Mar Cinese Orientale, sul Mar Giallo e sullo Stretto di Taiwan, triplicando quelli effettuati nello stesso periodo nel 2019. La Marina militare statunitense ha condotto quattro operazioni nel Mar Cinese Meridionale finora, in tutto il 2019 ne sono state effettuate otto. Il segretario della Difesa Mark Esper ha dichiarato di voler aumentare la presenza militare americana: “È un modo per mantenere un certo grado di prevedibilità strategica per assicurare la prontezza della nostra forza, ma ottenere un più alto grado di imprevedibilità operativa”.
Intanto la Cina ha svolto delle esercitazioni militari nel Pacifico Occidentale simulando l’incursione in alcune isole, un atto nemmeno troppo velato per avvisare Taiwan e Stati Uniti, inoltre Pechino si sta muovendo per vendicarsi delle decisioni prese contro Huawei. Concludendo, è interessante soffermarsi sull’analogia fatta da Trump qualche giorno fa in cui ha comparato il coronavirus a Pearl Harbor. L’attacco del 1941 rappresenta il conflitto contro il nemico asiatico, fa riferimento ad una guerra nel Pacifico, proprio quello che potrebbe accadere con la Cina, ritenuta responsabile della pandemia e delle conseguenze negative subite dagli Stati Uniti.
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