Breve ma intenso ritorno in Italia per la nostra rubrica settimana. Il Presuntuoso della settimana è il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio
Di Kevin Gerry Cafà
Per utilizzare una terminologia familiare al mondo della finanza, la pandemia da Coronavirus che ha colpito i paesi può essere comparata ad una sorta di stress test, ovvero quelli svolti dalla Federal Reserve americana per determinare se le organizzazioni bancarie più grandi degli Stati Uniti hanno capitale sufficiente per fronteggiare un eventuale peggioramento della situazione economica. Per molti paesi europei, non è stato solo un banco di prova per il sistema sanitario pubblico e privato ma anche per altri ministeri chiave, i cui risultati stentano ad arrivare e sono visibili agli occhi degli elettori.
Se dal ministero del lavoro sono arrivati degli ottimi segnali nella volontà del governo di intraprendere una dura lotta contro il Caporalato e al lavoro nero, nulla di concreto giunge dal ministero degli esteri su cui si investe poco in termini politici, sebbene si tratti del ministero chiave da cui dipendono le iniziative governative in materia di politica estera, che permettono al paese di non svolgere il ruolo di spettatore non pagante in alcuni dossier ma di contribuire alla risoluzione di alcuni conflitti internazionali. La verità è che l'Italia non tocca palla sulla Libia e nemmeno su altre vicende internazionali. L'Italia non è apparso un valido alleato fin dall'inizio per il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, a causa anche dell'azione intraprendente della Turchia dalla fine dello scorso anno nell'aerea MENA. Ogni volta che si verificano dei colloqui telefonici tra capi di stato o di governo e ministri degli esteri, la maggior parte dei titoli che leggiamo sui principali quotidiani italiani relegano l'Italia tra i principali interlocutori per alcuni degli attori presenti nel panorama europeo internazionale. In realtà, si tratta di semplici passaggi istituzionali che alimentano quel meccanismo noto come diplomazia.
Oltre al pressing redditizio del premier Conte e del ministro dell'economia Gualtieri sulla Commissione europea nelle varie fasi della pandemia e i giri di valzer che contraddistinguono la storia della politica estera italiana, è necessario sottolineare anche gli unici successi del governo, visto che dal ministero degli esteri sono arrivati solo i post di ringraziamento alla notevole quantità di aiuti arrivati da molti paesi. Ricoprire la carica di ministero degli esteri non comporta solo lo svolgimento di un ruolo di rappresentanza dello Stato per tutti gli atti relativi alla conclusione di accordi e trattati. Gli insuccessi ottenuti nella campagna libica da Di Maio vanno sicuramente condivisi con l'Unione europea, ferma ai 55 punti condivisi dai paesi seduti al tavolo dei negoziati. Peccato che entrambi i leader libici non hanno condiviso e firmato l'accordo sui 55 punti, poiché non erano al tavolo delle trattative insieme agli altri partecipanti.
Per chiudere in bellezza la settimana, per Di Maio sono arrivate anche le critiche più che mai giuste da Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio il ricercatore torturato e ucciso in Egitto all'inizio del 2016, ormai stanchi dell'atteggiamento del governo e delle promesse fatte dall'inquilino della Farnesina, soprattutto in merito alla vendita all'Egitto di due fregate italiane, di cui il Consiglio dei ministri ha solo preso atto del fatto che i capi delegazione dei partiti erano d'accordo con l'invio delle due fregate Fremm al regime egiziano di Al Sisi. Dal governo e dal ministro Di Maio sono arrivate risposte poco chiare visto che la maggioranza era contraria all'iniziativa ma nonostante tutto è andata avanti lo stesso, agevolando solo Fincantieri. Pensate che solo due giorni fa il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva dichiarato che la vendita non era stata autorizzata e la richiesta di verità sull'omicidio di Giulio Regeni restava “incessante”.
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