Di Matteo Piovacari
Immaginiamo per un attimo che uno Stato europeo, per esempio la Francia, inizi improvvisamente ad arrestare indiscriminatamente migliaia di persone di colore accusandole di aver partecipato alle azioni terroristiche che hanno preso di mira varie città francesi negli ultimi anni. Immaginiamo che queste vengano rinchiuse in campi di prigionia, costrette ai lavori forzati e sottoposte a torture psicologiche e fisiche. Ora, riuscite a immaginare la reazione che governi e popoli di tutta Europa potrebbero avere? Con molta probabilità vedremmo il sollevarsi di voci altisonanti dal mondo della politica, assisteremmo ad attori e sportivi trasformarsi improvvisamente in attivisti per i diritti umani, si batterebbero i pugni sui tavoli degli organi europei e fiumi di dimostranti si riverserebbero nelle strade delle maggiori città d’Europa per protestare contro così gravi violazioni dei diritti e libertà fondamentali dell’individuo. E se vi dicessi che tutto ciò sta già accadendo, ma solamente un po’ più lontano dal nostro piccolo, piccolissimo angolo di mondo Europeo? Per ritrovare la situazione fittizia sopra descritta occorre infatti spingersi più a Est, fino alla Cina settentrionale. Da più di un decennio, ma con i fatti più gravi che sono iniziati a essere riportati dalla stampa internazionale solo dal 2017, nella regione dello Xinjiang, migliaia di cittadini cinesi di etnia Uigura sono vittima di una repressione totalitaria messa a punto dal Partito Comunista Cinese (PCC), la forza politica che guida unilateralmente la Cina dalla sua nascita nel 1949. Tutto questo mentre l’Europa e il mondo intero rimangono a guardare impassibili, limitandosi a sollevare timide critiche e scoordinate condanne nei confronti del regime di Xi Jinping, e mentre sempre più leader del blocco Occidentale fanno l’occhiolino alle politiche commerciali promosse da Pechino, de facto avvallando le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Ma andiamo a vedere i punti chiave attorno i quali ruota la questiona Uigura.
Dove? - Lo Xinjiang
Lo Xinjiang (dal cinese, “Nuova Frontiera”) è la regione più estesa della Cina, situata alla sua estremità Nord-occidentale. Affacciandosi sull’Asia centrale, l’area ha da sempre giocato un ruolo strategico per la Cina, anche grazie alle ingenti quantità di combustibili fossili presenti nel sottosuolo. Considerando le riserve di gas naturale, carbone e petrolio, la regione provvede a fornire circa il 20% dell’intero potenziale energetico cinese. Numerosi gasdotti sono stati costruiti nell’area nell’ultimo decennio, permettendo alla Cina di rafforzare la propria influenza nei confronti dei Paesi centro-asiatici. Nel quadro del progetto cinese della “Nuova via della seta” (chiamata comunemente “Belt & Road Initiative” o BRI), lo Xinjiang ha ulteriormente aumentato la propria importanza strategica, in quanto tre dei cinque corridoi economici previsti per facilitare il commercio fra Occidente e Oriente attraverseranno proprio quest’area. In ultimo, è interessante notare come nello Xinjiang, dal 1959, si collochi l’unico sito cinese adibito a test nucleari. Questi aspetti rendono prevedibile la volontà di Pechino di mantenere a tutti i costi la stabilità interna in una zona geografica chiave sia a livello economico che di politica estera.
Chi? – La minoranza Uigura.
Gli Uiguri sono gruppo etnico minoritario di fede musulmana ed etnia turcofona, cioè parlante una lingua imparentata con il turco, insediata prevalentemente in Xinjiang da più di 2000 anni. Seppur nella regione gli Uiguri costituiscano una maggioranza relativa coprendo il 45% della popolazione, il loro peso specifico sulla totalità demografica cinese è pressoché nullo, arrivando a rappresentare solamente lo 0,6% degli abitanti totali della Cina. Nonostante l’esiguo numero, le caratteristiche geografiche e strategiche dello Xinjiang (descritte sopra), unite all’animarsi nell’area di movimenti separatisti a partire dagli anni 90’, hanno portato il governo cinese a concentrare la propria azione repressiva e di controllo contro la minoranza Uigura.
Perché? – Le origini della questione Uigura.
Sin dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, lo Xinjiang è stato al centro di un tentativo da parte del governo centrale di “sinizzare”, cioè assimilare e trasformare culturalmente, i gruppi etnici locali. Questo è principalmente avvenuto promuovendo politiche demografiche che hanno spinto milioni di cittadini cinesi Han, l’etnia cinese dell’immaginario e stereotipo comune per intenderci, a insediarsi nell’area, al fine di sostituire ed integrare le minoranze regionali. A riprova di questo, si pensi che i cinesi Han che vivevano nello Xinjiang nel 1949 erano solo il 5% della popolazione totale della regione, mentre il loro numero oggi ammonta ad almeno il 40%. Gli anni 90’ hanno segnato un fondamentale spartiacque in questo processo.
Con la disgregazione dell’Unione Sovietica e la nascita di stati a maggioranza musulmana in Asia Centrale, come il Tajikistan e il Kazakistan, anche lo Xinjiang è stato attraversato da moti separatisti contrari alle politiche di sinizzazione messe a punto dal governo cinese. Scontri armati, operazioni di guerriglia e attentati provocati da gruppi armati di etnia Uigura hanno scosso il territorio durante gli ultimi anni del 20esimo secolo, fomentando la risposta punitiva di Pechino. La coincidenza di questi episodi con l’inaugurazione della lotta globale al terrorismo dopo gli attentati dell’11 Settembre ha solamente favorito la stretta repressiva sulla popolazione Uigura. Ad oggi, lo Xinjiang è uno dei luoghi più sorvegliati al mondo, grazie all’impiego invasivo di varie tecnologie, come la videosorveglianza per il riconoscimento facciale, che il governo cinese ha sperimentato per la prima volta e successivamente affinato proprio in questo territorio, in preparazione di un uso su scale nazionale. Secondo l’organizzazione Chinese Human Rights Defenders, il 20% degli arresti totali in Cina avviene in Xinjiang. Un dato enorme, se si considera una popolazione di soli 25 milioni su un totale di 1,3 miliardi di abitanti in tutta la Cina.
Cosa? – La repressione e il piano per la “trasformazione” etnica
Veniamo alla situazione che abbiamo immaginato nelle prime righe di questo articolo. Per quanto efferato ed estremo da concepire, un regime inquisitorio e totalitario capace di imprigionare più di un milione di persone all’interno di campi di tortura è esattamente ciò che ha caratterizzato lo Xinjiang negli ultimi cinque anni. Dal 2017, varie voci fra media internazionali e esuli Uiguri fuggiti dai confini cinesi hanno guadagnato risonanza globale denunciando la creazione di “campi di rieducazione” indirizzati ad internare forzatamente centinaia di migliaia di civili Uiguri, imputati di reati minori o sospettati di essere dissidenti politici. All’interno di questi grandi centri, i prigionieri sono costretti a subire torture fisiche e seguire un indottrinamento ferreo all’ideologia nazionalista cinese, quindi ripudiando le proprie pratiche culturali e religiose di stampo islamico. La foto che ritrae fila di uomini bendati e ammanettati, che certamente qualcosa rievoca dalla memoria storica Occidentale, ha fatto il giro del mondo. Dopo vari attentati avvenuti nello Xinjiang nel 2014 per mano di militanti Uiguri, il governo di Xi ha adottato politiche repressive basate su un sistema di sorveglianza totale e “trasformazione” culturale delle minoranze etniche. Anche qui, sarebbe più opportuno parlare di rieducazione e manipolazione psicologica visti i metodi coercitivi utilizzati nei confronti degli Uiguri. Non solo campi di lavoro, dove gravi violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno, i cittadini Uiguri sono obbligati a subire perquisizioni e inquisizioni continue, a fornire il proprio DNA e documentazione alle autorità per una sorveglianza 24/7. La polizia giunge al punto d’installare sistemi di videosorveglianza all’interno delle abitazioni e dispiegare agenti a vigilare personalmente (con personalmente s’intenda, dentro casa, nel privato!) i nuclei famigliari. In più, gli Uiguri devono obbligatoriamente presenziare a cerimonie e incontri organizzati dal governo centrale, in cui sono spinti ad abbandonare la propria fede ed imbracciare il socialismo patriottico cinese. Nel 2019, il New York Times ha pubblicato centinaia di pagine di documenti trapelati dalle autorità cinesi, in cui veniva esplicitamente identificata tutta l’efferatezza e natura coercitiva del sistema di repressione imposto nei confronti delle minoranze etniche in Xinjiang.
Con l’alibi della lotta al terrorismo, il governo cinese è riuscito a costituire un regime totalitario nello Xinjiang che, seguendo l’Orwelliana definizione, è capace di pervadere e manipolare la ‘totalità’ dell’individuo, in questo caso dell’individuo Uiguro, infrangendone i diritti fondamentali, la libertà di pensiero e l’indipendenza come essere umano. Tutto questo al fine di avanzare la propria agenda economica e geopolitica. Tutto questo, mentre Paesi come il nostro, che più di tutti si fanno detrattori dei diritti e libertà inalienabili dell’essere umano, si muovono timidi nei confronti di un gigante economico che si sta sempre di più aprendo ai mercati d’Occidente. Concludiamo con un quesito. Come Italia, come Europa, può davvero essere questo il partner commerciale a cui vogliamo stringere la mano?
Fonti e Approfondimenti:
Osservatorio Diritti: https://www.osservatoriodiritti.it/2019/04/24/uiguri-cina-chi-sono-storia-persecuzione-xinjiang/
L’Internazionale: https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/09/18/uiguri-cina-occidente-diritti
Lo Spiegone: https://lospiegone.com/2018/11/13/la-politica-di-pechino-nello-xinjiang-tra-sinizzazione-e-crescita-economica/
New York Times (ENG): https://www.nytimes.com/interactive/2019/11/16/world/asia/china-xinjiang-documents.html
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