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Dalla crisi pandemia a quella umanitaria, il passo è stato brevissimo

Aggiornamento: 18 mar 2022

Di Federica Maganuco


Da ormai 13 giorni a questa parte non vediamo che scorrere in tutti i programmi televisivi e non solo le terribili e tristi immagini di distruzione e di morte, di gente in fuga, di piccoli rimasti orfani e di uomini e donna che all’improvviso si sono ritrovati senza più nulla, senza un’identità nazionale, storica e culturale.

La macchina della solidarietà è partita immediatamente, ma a fronte della gravità della situazione sembrerebbe che l’unica strada da intraprendere per porre fine a questo scempio sia quella dell’azione militare.

Tuttavia, considerato che l’Ucraina non fa ancora parte dell’UE né tantomeno della NATO, gli stati confinanti al territorio ucraino, nonché tutti gli Stati membri UE e dell’Alleanza NATO non potevano rimanere inerti dinanzi a tale situazione e sono immediatamente intervenuti con l’unico mezzo – non militare - a loro disposizione: le sanzioni.

MA IN COSA CONSISTONO QUESTE SANZIONI E COSA COMPORTANO?

Storicamente, le sanzioni sono state utilizzate come preludio all’uso della forza. L’esempio più antico del quale abbiamo testimonianza scritta è l’editto con cui Atene nel 432 a.C. tentò di costringere la città di Megara a unirsi alla Lega di Delo contro Sparta (Tsebelis 1990).

Tuttavia le sanzioni non sempre hanno assunto tale sembianza.

Woodraw Wilson, presidente degli Stati Uniti all’epoca della prima guerra mondiale, le considerò una vera e propria alternativa all’uso della forza, in particolare come un “pacifico, silenzioso e mortale rimedio” alle violazioni del diritto internazionale.

Ed invero le sanzioni ove siano mirate ad una tale finalità non prettamente bellicosa, rispondono all’esigenza di contenere le conseguenze negative sulle persone che non hanno responsabilità diretta delle politiche che si intendono cambiare, senza perdere di efficacia; cercano di circoscrivere il costo agli attori che, al contrario, sono responsabili dei cambiamenti poco democratici che si vogliono attuare.

Tendenzialmente le sanzioni prese in situazioni come quella che riguarda oggi l’Ucraina, prendono la forma di restrizioni finanziarie, al commercio di armi, allo scambio di prodotti specifici e alla limitazione del movimento di persone attraverso il diniego di visti. E tra le ragioni che hanno convinto gli Stati UE ed alleati NATO ad adottare le sanzioni, nel corso dell’ultimo secolo, vi rientrano altresì la difesa e la promozione di diritti umani (si pensi ai casi di Ruanda, Moldavia e Guinea Bissau), nonché la difesa e la reazione a colpi di stato e per sostenere il consolidamento democratico dei governi al potere prendendo come bersaglio i cosiddetti spoilers, cioè i ‘guastatori’ del processo democratico (come in Liberia ed Iraq), ovvero persone e gruppi che minacciano la tenuta dell’accordo di pace o la stabilità del nuovo governo (Biersteker, Eckert, and Tourinho 2016; Portela 2016).

In aggiunta a queste ragioni ci sono altre tre motivazioni classiche per l’imposizione di sanzioni. La prima è quella di combattere il terrorismo internazionale (si ricordino le sanzioni alla Libia dopo che fu accusata di essere responsabile dell’abbattimento di un aereo civile nei cieli sopra Lockerbie, in Scozia, o il regime sanzionatorio globale contro al-Qaeda e lo Stato Islamico), la seconda quella di opporsi alla proliferazione di armi di distruzione di massa (si vedano i casi di Iran e Corea del Nord) e, da ultimo, per sanzionare gravi violazioni del diritto internazionale (come è accaduto per le violazioni del principio di inviolabilità territoriale, dall’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990 all’annessione della Crimea da parte della Russia).

Ebbene si, la Russia purtroppo si è resa in più occasioni protagonista di gravi violazioni del diritto internazionale e, da ultimo, nel 2014 quando la Crimea – a seguito di un referendum abbastanza forzato e imposto secondo regole tutt’altro che democratiche – venne annessa alla Russia.

Anche in quella occasione l’UE si mostrò sin da subito contraria all’annessione (definita dalla stessa come illegale e forzata) e alle modalità di azioni del Cremlino: difatti il Consiglio impose un primo round di sanzioni il 17 marzo 2014, sanzioni rivolte principalmente contro individui, ucraini e russi, coinvolti negli eventi (European Union 2014a). Ed ancora, mentre la crisi ucraina era già allora in evoluzione, gli stati membri Ue istruirono la Commissione europea di fare una valutazione delle misure restrittive che si sarebbero potute adottare in risposta alle politiche della Russia in Ucraina. E la risposta della Commissione non si fece attendere, in quanto l’organismo europeo de quo adottò diverse sanzioni di natura diplomatica (come la sospensione del dialogo bilaterale con Mosca su questione visti e sull’accordo tra Russia ed UE, la sospensione della Russia dal G8 e la sospensione del negoziato per l’adesione della Russia all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), congelò i beni detenuti in Europa dai singoli individui coinvolti nell’annessione della Crimea, nonché impose il divieto di ingresso nell’Ue per queste stesse persone, ed adottò infine alcune misure di natura economica settoriale.

Ed oggi la storia si ripete, con conseguenze allo stato già abbastanza drammatiche sotto il profilo sicuramente umanitario.

Sicuramente è indubbio un aspetto, ovverosia che le sanzioni fin qui adottate hanno un obiettivo principale: l’economia russa. Si pensi al blocco del sistema SWIFT - una piattaforma di messaggistica che garantisce transazioni rapidissime (poche ore) con standard di sicurezza molto elevati – a ralune banche russe; al divieto per la Banca Centrale Russa di utilizzo delle riserve di euro e dollari; al divieto alle imprese europee di esportare tecnologie in Russia,all’esclusione della Russia dalle competizioni FIFA e UEFA, al divieto di viaggio per gli oligarchi russi o alle compagnie aeree russe di entrare in UE, ecc.

È chiaro che le ripercussioni sull’economia russa saranno durissime ed inevitabilmente si rifletteranno su quella di tutti i Paesi che hanno rapporti con la Russia. Prima grande conseguenza è l’aumento dei prezzi delle materie prime, a partire dal gas (da ultimo, e non per importanza, l’aumento della benzina che è praticamente alle stelle!)

E comunque, mentre proseguono intanto vani i tentativi di negoziato e di accordo tra l’Ucraina e la Russia, i restanti Stati- ivi compresa l’America - manifestano il proprio appoggio al territorio ucraino stanziando fondi per la crisi e prevedendo anche l’invio di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari.

Quanto all’Italia, al momento sono stati adottati due decreti legge con i quali è stato disposto l’invio di mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali ed è stata incrementata la spesa dei fondi per i centri di trattenimento e di accoglienza dei profughi.

Le conseguenze delle prese di posizioni fin qui adottate sicuramente si verificheranno e già alcune di esse si stanno verificando, ma la speranza principale rimane sempre una, in fondo al cuore: che questo maledetto conflitto, che ha pochi precedenti nella storia, finisca il prima possibile.

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