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Il Revanscismo e l’indifferenza

Di Mauro Spina


Quel che resta della lettera letta sul palco del primo maggio a Roma dal rapper Federico Leonardo Lucia (in arte Fedez) sono due dettagli che fanno molto rumore nell’indifferenza più totale.

Sono dettagli trasversali, che colgono le fragilità e le trasformazioni che i partiti politici italiani stanno adottando in questi anni, fratture che vengono da lontano e scelte radicali dell’immediato per l’immediato. Partendo dal primo, il più cogente, l’assoluto silenzio da parte della Lega verso le frasi omotransfobiche dei propri esponenti, riportate in diretta televisiva. Nessuno dei diretti intervistati ha pensato bene di fare un passo indietro e il leader del più grande partito sovranista italiano non ha sentito la necessità di farlo per loro, di fatto riconfermandoli tutti ai loro posti di rappresentanza. L’immediato per l’immediato.

La Lega ha deciso con lucidità e calcolo di assestarsi su un piano etnocentrico e ultraconservatore che la allontana da altre formazioni populiste o liberali conservatrici di destra europee (quali ad esempio il Front National di Marie Le Pen e il Volkspartij voor Vrjheid en Democratie di Mark Rutte) per avvicinarsi alle destre del blocco di Visegrad. Radici cristiane, declinate nella peggior ortodossia, rifiuto delle diversità e repulsione per lo straniero; il governo Draghi ha indebolito la figura di Matteo Salvini come padre della patria anti-establishment, per questo motivo il leader del Carroccio ha deciso di ripiegare sui richiami più aggressivi delle estreme destre, per creare un nuovo elettorato stabile e lasciare l’aleatorio e fluttuante palcoscenico populista. A farne le spese, i diritti civili, considerati temi divisivi all’interno dell’agenda di governo e mai davvero al centro della politica della Lega. L’abilismo, la misoginia, l’omotransfobia, semplicemente non esistono, e tutti i potenziali elettori che ne subiscono le conseguenze sulle proprie vite non appartengono ai proclama muscolari e machisti del leader Matteo Salvini. Il populismo di destra vira stabilmente verso l’estrema destra tout court.

Non che gli alleati del blocco di centro destra siano altrettanto attivi e interessati al passaggio finale del DDL Zan, il secondo partito dell’alleanza, Fratelli d’Italia gioca di rimessa lasciando alla Lega l’onere della crociata xenofoba mentre in alcune regioni a guidate proprio dal partito di Giorgia Meloni, le donne e le minoranze vengono drasticamente mutilate dei diritti fondamentali (basti guardare a ciò che continua a proporre Carlo Ciccioli sull’aborto, capogruppo di Fratelli d’Italia Marche in consiglio).

Infine Forza Italia, paralizzato com’è dalla sua crisi di elettorato e senza una leadership vera e propria sul tema non si esprime o con toni meno duri di quelli usati da Matteo Salvini, svia il discorso.

La crisi pandemica ha acuito i contrasti tra periferie (strappate alla sinistra dalla retorica populista) e centri abitati, ha aumentato il divario lungo l’asse nord-sud del paese e ha eroso ulteriormente i diritti dei lavoratori sempre più esposti a incidenti mortali (due solo negli ultimi due giorni) e a contratti sempre più precari mentre le grandi aziende e le multinazionali sul suolo nazionale generano profitti acuendo drasticamente la forbice sociale. Giocoforza si genera disaffezione verso la politica, astensionismo e si crea un bacino di sofferenti offerti sul vassoio dell’odio neoconservatore, in tutto questo qualsiasi l’ipotesi di redistribuzione della ricchezza sembra sparita dall’agenda politica delle forze di centro sinistra, i diretti responsabili in vaste aree del paese dell’abbandono delle piazze da parte della società civile.

Qui arriviamo al secondo dettaglio importante che salta fuori dal palco del primo maggio. L’assenza totale della politica, da un palco che nel corso degli anni ha visto lanciare veementi attacchi allo status quo, al mondo di Confindustria, usando l’arte come veicolo di trasmissione di battaglie identitarie proprie della sinistra, che il primo maggio dovrebbe utilizzarlo come perno per le lotte salariali e i diritti civili. Invece è mancato sia l’appoggio al primo tema quanto al secondo, lasciato nei fogli tremolanti letti da Fedez sul palco, mentre ci si lambiccava su quanto fosse di sinistra che un’artista milionario prendesse la parola su temi civili. E tutto questo è avvenuto a sinistra.

Enrico Letta nell’ombra, col suo oculato politichese che accontenta tutte le anime centriste del Partito Democratico si è limitato a qualche timida bastonata alla RAI, mentre Giuseppe Conte (probabile prossimo leader del Movimento5Stelle) ha scelto una linea più diretta, sacrificando anche un po’ di coerenza (visto che gli attuali organi dirigenziali della tv pubblica sono stati eletti durante il suo primo governo, quello gialloverde). I sindacati, divisi, hanno scelto nello stesso giorno tre piazze diverse, mentre al di là delle solite uscite (ormai rigorosamente social) il Partito Democratico ha abbandonato ogni velleità nei confronti della patrimoniale. Un immobilismo che ha rilanciato l’altro Partito Democratico, quello statunitense guidato da Joe Biden, l’attuale presidente, che ha spostato l’asse del partito verso il fronte pauperista e redistributivo, parlando di salario minimo, riforma della sanità e nella lotta contro la Sars-Cov-2 di sospensione dei brevetti.

Mentre sotto i lustrini del generale Figliuolo e l’ascendente di Mario Draghi si sono rifugiati i progressisti, spaventati, vecchi e privi di forza.

Fedez leggeva quei nomi e attaccava un sistema, violento, machista, prevaricatore, abilista e razzista che ogni giorno appesta i social di fake news, notizie distorte per accaparrarsi le paure e i click dei lettori, da destra si è scelta la minimizzazione, la risata vuota di Pio e Amedeo, la difesa del privilegio. Da sinistra ancora una volta nella stragrande maggioranza si è fatto il solito girotondo sterile e puerile. A farne le spese le tante storie delle vittime, le ultime, morte sul lavoro, un posto dove non si può morire. Nell’ombra restano tutti chi per tornaconto, chi per sana vigliaccheria mentre in un autogrill in ristrutturazione va in scena il nuovo Rinascimento di Matteo Renzi che incontra tranquillamente agenti dei servizi segreti, bancarottieri in carcere e dittatori sanguinari a Riad, il tutto durante una pandemia che continua a mietere vittime ed è come Giano bifronte, ha la faccia di un virus davanti e l’altra quella nascosta del lavoro sfruttato, sottopagato, delle violenze di genere, della risata disumana di Matteo Salvini contro Aboubakar Soumahoro (attivista e sindacalista che da anni lotta nei ghetti del foggiano): ‘’Perché adesso scioperano anche i clandestini?’’.


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