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La battaglia “sinistra” delle primarie dem

Di Federica Maganuco


Dopo diversi mesi, finalmente il prossimo 26 febbraio si terranno le primarie che decideranno chi tra Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, sarà il nuovo segretario del Partito Democratico.

Previsti oltre 5000 seggi (numero ancora suscettibile di variazioni) sparsi in tutta Italia, ma ancora ignota è l’asticella di partecipazione degli elettori. Potranno votare tutti i cittadini italiani, stranieri residenti in Italia, i minori dai 16 anni in su, lavoratori e studenti fuori sede.

Ma la domanda che ci si pone è: ma esiste ancora un popolo di sinistra, quello vero, disposto a mettersi in fila ai gazebo per scegliere un proprio leader? Ci sono ancora dei cittadini pronti a sacrificare il proprio tempo per una classe dirigente che li ha ripetutamente delusi e che sembra non più capace di regalare una speranza?

E la risposta che gli elettori cercano assume ancora più valore, dopo l’elevato astensionismo delle regionali e la conseguente netta sconfitta del Pd e del centrosinistra nelle ultime tornate elettorali. Dal trionfo di Veltroni fino alla vittoria di Zingaretti del 2019, i votanti alle primarie sono costantemente diminuiti. Si è passati dai 3 milioni e mezzo che incoronarono l'ex sindaco di Roma al milione e mezzo di elettori che scelsero il governatore del Lazio.

Se il prossimo segretario del Pd dovesse essere scelto da meno di un milione di elettori, ci troveremmo davanti a un segretario sì vittorioso, magari anche in maniera netta, ma che in qualche modo inizierebbe la sua avventura in salita.


Due politici estremamente diversi, più differenti rispetto a quello che è apparso in questa campagna elettorale. Campagna elettorale questa che, ahimè, ha messo in luce altri due grandi problemi della maggiore forza di sinistra. Il primo è storico: quello di parlare soprattutto di se stessi. Il Pd, dal discorso del Lingotto con il quale Veltroni si candidò a segretario dei democratici a oggi, parla soprattutto di se stesso, dei propri leader, delle proprie faide interne e delle primarie stesse. Il secondo riguarda i tempi del congresso: una "corsa" talmente lunga che probabilmente avrebbe messo in difficoltà anche il maratoneta più iconico.

Due difetti che hanno inevitabilmente trasformato quello che doveva essere un congresso-(ri)fondativo del Partito Democratico in una discussione prolungata e annacquata che non ha saputo in alcun modo attirare l'attenzione dei cittadini dei media, pur essendo, almeno sulla carta, uno dei congressi dall'esito più incerto degli ultimi anni.

Quanto alle modalità di espressione del voto, una delle novità prevista in queste primarie è il voto online “ristretto”, ovverosia previsto solo per alcune categorie di votanti. Detta tematica è stata al centro di uno dei diversi scontri accesi (a proposito di differenze) tra il fronte Bonaccini e quello della Schlein. Infatti la richiesta di permettere il voto digitale era stata avanzata da quest’ultima, con netta opposizione della mozione Bonaccini e De Micheli. La mediazione di Enrico Letta ha risolto la questione, appunto limitando il ricorso alle votazioni su piattaforme digitali ad alcune categorie di cittadini: coloro che abitano almeno 20 km di distanza da un comune ove sia presente un seggio, chi versa in condizioni di disabilità o malattia cronica invalidante, lavoratori che nella giornata del 26 febbraio svolgano dei turni o siano in viaggio per ragioni di servizio.

Comunque vada l'affluenza, certamente il primo compito del nuovo segretario sarà quello di recuperare i tanti, tantissimi elettori di centrosinistra che in questi ultimi anni, nonostante l'alternarsi dei segretari, sono "scappati" dal Pd.

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